Abbiamo sempre bisogno di credere
L’uomo è l’essere che soffre della sua propria trascendenza,
in un incessante processo di unificazione tra la passività e il
conoscere.
(Maria Zambrano, Chiari di bosco).
Abbiamo sempre bisogno di credere
che siamo sul punto di uscire da un bosco
rumoroso di corvi o gabbiani
maschere appese
che volteggiano in alto a spiare le prede.
Sempre speriamo
che una luce lontana ci attragga
come ci attira il colore di un abito smesso
dentro un armadio che cigola quando lo apriamo.
Senza quiete cerchiamo
con le parole nuovi sentieri
mentre inciampiamo nelle sperdute
in mezzo alla polvere.
Ma ci trafigge il dolore
nelle pareti dei nostri corpi
ci chiude dentro le stanze
delle intenzioni e dei sentimenti
sbattendo la porta.
E il tempo ci avverte.
Il nostro è solo l’inganno
di chi si ostina a chiudere gli occhi
nel dormiveglia
nell’illusione che tutto debba mutare.
Le maschere appese
cadono adesso ch’è buia la nostra casa
e c’invita a cercarci con le mani alla cieca.
Solo il soffio troviamo
della porta che sbatte.
Così c’inganniamo sui tempi e sui luoghi.
in questa ennesima profondissima poesia Marcello esprime un bisogno antico quanto il nostro apparire sulla scena della vita: quello di credere in qualcosa che dia un senso alla nostra esistenza, che ci conforti e supporti quando ci sentiamo soli e timorosi “nel buio del bosco”, “nell’armadio cigolante”, “nelle stanze” che ci imprigionano, Ma questo bisogno antico si ripete in ogni istante della nostra “giornata”. E’ insito in noi: è il bisogno di credere , di sollevarci oltre il materialismo e la quotidianità che non possono appagarci; è l’anelito all’infinito.
Nel momento in cui ci sentiamo prede prese di mira dai corvi o inciampiamo nella polvere di inutili parole, quando il dolore dilania il nostro corpo ci chiediamo: credere in cosa? in chi?
Non è ora di illusioni, sembra suggerire il Tempo, non serve avanzare alla cieca. Non è tempo di mutamenti o di speranze ingannevoli. E’ solo provocato da una porta che sbatte quel rumore che ci ostiniamo a scambiare per un ospite venuto a liberarci, a guidarci verso una luce lontana che soddisfi il nostro eterno bisogno di credere.
il poeta ha reso questo concetto ( che credo di aver interpretato in modo corretto) con una sequenza di splendide immagini in un alternarsi di spazi chiusi e aperti, in un dilemmatico scontro dell’uomo tra illusione e realtà, tra ombre e luci in un pathos che, pur nell’amaro disincanto, non diventa mai disperazione.
Dov’è la strada per riappropriarmi di quella luce e pienezza che mi rifaccia sentire arrivato e non un sonnambulo che vaga in compagnia di cieli con foschi presagi?
Voglio credere che ci sia una continuità a quell’abito indossato, amato e smesso, che fa ancora copolino nei miei ricordi, per i suoi colori “vivi” e mai dimenticati.
E mentre tutto mi appare così illusorio, s’apre un varco: è tutto qui dentro, dentro questo buio interiore che devo cercare spalancando le finestre delle mie contradditorie intenzioni.
Il vento sta cambiando….ne ho appena percepito il soffio.