Metamorfosi
Erano questi i giorni del mio esistere
piante selvatiche cresciute nell’inverno
di fianco a un muro o un tronco non ricordo
se l’ombra taglia in due la sconfinata
durezza della neve
nel tempo delle notti fredde.
Dal basso verso l’alto
sbocciano lente foglie aperte al cielo
che si fa grigio e passeri furtivi
sopra i teneri cardi
bevono nel cavo delle foglie
gocce di rugiada.
Erano i giorni in cui dolori e incanti
mi venivano incontro
e a pugni chiusi
difendevo il mio esilio.
Dal basso verso l’alto inizia il vento
la metamorfosi della primavera
che lucida i germogli torce in punta
le foglie e ne fa spine
e i fusti alati erge verso infiorescenze
rosse e turchine come puntiformi raggi
esplosi da una stella.
Muore
nella luminosa estate il cardo
sparge
dai becchi dei rapaci i semi
sulla pietrosa terra.
E le sue spine grigie si spezzano nel sole.
L’esistenza è simile a “piante selvatiche” che si sviluppano nell’ “inverno” e che sono simbolo della solitudine e dell’ essere soli sulla terra, della nostra impossibilità di metterci in vera relazione con gli altri ( cfr. ” ognuno sta solo sul cuor della terra….,” di Quasimodo e il romanzo di Fallada “Ognuno muore solo”). Il muro o tronco, accanto a cui crescono le piante, è il mondo esterno da cui vorremmo cercare protezione. Ma la loro funzione simbolica è diversa: il muro è qualcosa di solido ma privo di vita; il tronco viceversa suggerisce , in quanto parte vitale dell’albero, l’idea di legami di vita, più forti. Ma nel contesto della poesia (Marcello dice “non ricordo”) abbiamo più l’idea di un tronco morto, magari cavo, presenze umane che ci affiancano ma non sostengono. E questa interpretazione del tronco morto (ombra che divide in due) è motivata dalla “sconfinata durezza della neve”, immagine che evoca un profondo senso di freddo interiore e di solitudine in un mondo duro su cui si proietta solo l’ombra dell’umanità. Col verso “dal basso verso l’alto” inizia, anche se non ancora annunciata, la metamorfosi: e questo salire dal basso da l’idea della nascita, della prima fase della vita che si apre , come le foglie, verso il cielo, la speranza, il futuro. Ma già il cielo si fa grigio vanificando l’illusione della serenità infantile. È il tempo comunque della fantasia, della spensieratezza: teneri cardi ( giovinezza) passeri furtivi ( i sogni che si affacciano con circospezione) gocce di rugiada nel cavo delle foglie: sentimenti, desideri, sogni. È anche il tempo dell’adolescenza e l’inizio della maturità : “erano i giorni in cui dolori e incanti…”, le aspirazioni, le speranze e i sogni si affiancavano al primo incontro con il dolore, e l’uomo a pugni chiusi , con rabbia e determinazione difendeva il proprio essere dai condizionamenti esterni, lottava per essere se stesso, per la propria individualità. Scelta che si identifica con un esilio, la separazione dal mondo, l’essere o il sentirsi diverso. La crescita, il torcersi delle foglie in spine, la trasformazione delle nostre speranze in forme di difesa per proteggerci da quello che poi e nonostante tutto, diveniamo. Sono le infiorescenze rosse e turchine, il cui bicolorismo va letto come la nostra natura di esseri compiuti ma al contempo grumo di contraddizioni e “puntiformi raggi esplosi da una stella”, ovvero un nulla infinitesimale in un disegno casuale dell’universo. Sotto il profilo formale appare molto bella la struttura quadripartita della poesia, in cui la prima e la terza strofa iniziano con “erano i giorni…” (parole che ci portano a una dimensione personale seppure universale), e la seconda e la quarta che iniziano con ” dal basso…” con una prospettiva che ci introduce a una dimensione apparentemente naturalistica, ma in realtà profondamente allusiva delle nostre intime “metamorfosi”. E ancora una volta ci colpisce il gran numero di immagini legate alla natura: un quadro e una metafora del cardo: bello, elegante, colorato, ma anche spinoso e isolato dalle altre piante in terreni scabri.