Periferia
Dall’afrore dei tombini spalancati, dall’aiuole
dei palazzi ad angolo aride di sterpaglia,
dalle strade in discesa verso il mare
rese viscide dall’asfalto sotto il sole,
dalle auto arroventate, dai semafori muti
che arrestano per un attimo la corsa,
suoni e colori sono andati altrove.
Forse negli avanzi delle nostre povere cose
forse nei ristagni del tempo tra i ricordi,
forse nei sogni che ancora ci consolano.
E all’alba, in tutte l’albe che precedono
le poche ore riservate alla speranza,
quando rosseggia il sole appena all’orizzonte
e nel cielo una colomba cinerina,
misero uccello di città, si libra
prima che il tempo d’ogni giorno stampi
col monotono ticchettare del plessimetro
il diagramma di flusso del lavoro,
rapidi percorrendo le discese
irrispettosi dei segnali ci spingiamo ansiosi
sulla soglia che il mare sfigurato dal vento
graffia rabbioso disperatamente
con il sale che incrosta e che corrode
le nostre orme indelebili d’intrusi.
Pazzi a scendere sin qui, pazzi
a sperare. Sballottati dal vento
galleggiano sul mare alla deriva
scatole, casse, armadi chiusi a chiave,
inviolabili tombe di suoni e di colori.
Sono sconvolta da questa desolata rabbia. Il mare però qui c’è alla fine della strada. E’ questo l’obiettivo? Lascio dietro di me tutto quello squallido lerciume che la vita ogni giorno mi propina camminando per le città senza mare alle fine? O è proprio quel mare che con rabbia strappa tutto questi luoghi chiusi a chiave dentro di noi e li porta via con sè? C’è un mare dentro noi capace veramente di fare questo?