Esercizi di danza
a Paola
Lunghe e larghe le finestre alle pareti
filtrano nella sala ampia e deserta
infiniti granelli dorati nella luce polverosa
del meriggio che muore.
I pastosi colori del soffitto si rispecchiano
nello scintillio dei marmi al pavimento
in un tripudio di gialli di verdi e di celeste acceso
come un cielo che si fa largo fra cumuli di grigio.
I costumi pallidi di tulle
pendono dalle grucce nell’angolo d’ingresso
dove voi ragazze vi spogliate ridendo.
Serrate i nastri azzurri dei vostri capelli
tardate a rivestirvi dei costumi
sbirciando di sottecchi le grazie delle altre.
Alle pareti gli occhi degli specchi si riflettono
nel pianoforte all’angolo sul fondo della sala
con la lunga fila di denti che biancheggiano
tra le labbra atre di maschera rituale.
È il sorriso spento nell’attesa della musica
come voi che provate qualche passo
accennato nel silenzio sulla punta dei piedi
furtive guardando la rivale in quel gioco
che dona senso ai questi passi vuoti.
Alla luce che insanguina i vetri alle finestre
come un’ombra nella sala prendo posto al pianoforte
stendo innanzi a me le mani socchiudendo gli occhi.
Chino il capo sul petto
scorro le dita sul chiarore dell’avorio
simile ai denti gialli di una vecchia
che amata si abbandona sorridendo alle carezze
di un suonatore cieco.
I vostri visi attenti come stormi di falene
bruciano nell’aria l’oro della polvere.
La musica colpisce con i suoi martelli
le corde nascoste dei miei sentimenti
e voi mi offrite il concerto armonioso
dei vostri corpi che infiammano gli specchi
di luci diamantine.
Con un tempo lento e malinconico la sera
scolorisce alle finestre nella tenerezza della luce.
Nei vostri occhi sfolgora la notte e i sogni accesi dalla danza.
Potrebbero non esistere – dice la mia mente
a quella parte di me che vi segue con il cuore
volato via assieme alle vostre movenze
simili a quelle della musica
ai colori pastosi che danno vita al soffitto
ai riverberi cangianti del marmo che rimandano
ai vostri battiti d’ali.
Potreste non esistere – ancora mi ripete
a me che il volto chiuso nel gesto delle mani insisto
sui tasti per spegnere nel nero di questa vostra notte
la dolcezza atroce che mi opprime.
Un tuffo nell’immaginario di un sentire mai appassito.
La passione seppur in ombra e defilata dal palcoscenico dei sensi si meraviglia d’esserci fino al punto di domandarsi se questa vitalità sia “vera” o “invenzione”, frutto di una musica che avviluppa e rende dolci i ricordi e le promesse che il buio, ossia quello che non si conosce ancora, può restituire a qualsiasi età e in qualsiasi momento.
Grazie per queste belle immagini che, da sole, senza necessità di aggiungere riflessione alcuna, incantano.
UNO STUPENDO AFFRESCO CHE TRATTEGGIA
IL DISSIDIO TRA LA RAGIONE DELLA MUSICA CHE IL POETA CREA ED IL SENTIMENTO DELLA DANZA CHE IL POETA VEDE E FORSE CONSIDERA UN MIRAGGIO PER CUI NON ESCE DALLA DISPERAZIONE DEI GIORNI.
NON SO ILLUSTRARE OLTRE IL TURBINE ESISTENZIALE CHE HAI SCATENATO IN ME, SEI GRANDE MARCELLO.