I vagabondi
Resta soltanto il silenzio delle sedie in disordine intorno alla tavola
il cibo lasciato a metà dentro i piatti
e un vivo calore di dita sul metallo delle posate.
Il bagliore bianco della tovaglia tra i calici rossi di vino
come gelidi fiori d’anemoni alle carezze del vento
attende che tornino gli ospiti verso quel sogno
più vasto e vano del consumarsi dei giorni.
Alle pareti gli specchi pieni di ombre
moltiplicano il vuoto lasciato dai vagabondi
che senza pace sono fuggiti in cerca di fiumi tranquilli
e prati su cui adagiare la loro inquietudine.
Senza cedere il passo ai segni del tempo trascorso
ridevano allontanandosi.
Chi ha voltato le spalle chiuso in sé stesso
chi sottobraccio all’amata ha strappato le proprie radici
chi guardando il tenue orizzonte lontano
ha ripensato al monte scalato in silenzio
in solitaria fatica e al dolce tormento
della pioggia sul volto a bruciare le pupille e il fiato.
Resta soltanto la tavola pronta dell’ultima cena mai terminata
per raccogliervi intorno i vagabondi che mai cederanno al passato
il profumo dei fiori di campo carezzati dal vento.
Tornerò in quella stanza mi guarderò intorno. Vedrò negli specchi
il gelo che appanna le ombre, respirerò l’inebriante
profumo del vino e le inafferrabili distanze del tempo.
Siederò a quella tavola solo.
Un sentimento di precarietà, di vacuità, più gelido del gelo che appanna le ombre sugli specchi, del vuoto che si sprigiona dall’immagine delle sedie scomposte, malgrado l’odore inebriante del vino, malgrado il candore della tovaglia.
Forse la certezza del profumo dei fiori di campo a sorreggerli, i fiumi tranquilli e i monti ascesi smorzeranno la solitudine anche dell’unico commensale.
Sempre profondo il sentimento, elegante e raffinato l’abito.