Ogni giorno uno spettacolo diverso all’aprire le mail che Claudia mi manda. Sullo schermo appaiono immagini di giardini fioriti o ampi panorami di prati, invasi da farfalle tutte della stessa specie, con le ali spalancate su esili steli o sui petali dei fiori, pronte a fuggire e a confondere il cielo con i loro disegni variopinti. Ogni giorno una mail senza una riga di spiegazione. Semmai il nome della specie (colis, melitaca o arcania, fra quelli che ricordo) scritto a caratteri corsivi, piccoli, appena sotto ciascuna immagine, come un breve promemoria, una nota a margine.
È da una settimana che le ricevo.
Prima Claudia aveva l’abitudine di attaccare un post-it sulla parete esterna della porta di casa. La sera al mio rientro l’opaco colore giallino su cui non vi era mai scritto nulla, sembrava segnalarmi un pericolo. Con un vago senso di angoscia varcavo la soglia e mi trovavo Claudia di fronte, appoggiata alla parete, i capelli lievemente scompigliati, le braccia incrociate sul petto, gli occhi fissi su di me come sul punto di dirmi qualcosa. Sopra di lei un grande disegno a carboncino di due volti femminili su fondo color paglia: uno di profilo con lo sguardo corrucciato e i capelli grigi raccolti dietro la nuca, l’altro di fronte, nell’atto di urlare di rabbia e una lunga capigliatura nera sciolta sulle spalle. Con voce rassegnata mi chiedeva: “l’hai visto?”. Io le mostravo il post-it sulla punta delle dita e accennavo gravemente di sì col capo. Lei rispondeva con un sospiro e abbassava gli occhi come a guardarsi il grembo. Allora iniziavo a parlare. Lei mi ascoltava e io le raccontavo la mia giornata di lavoro senza riprendere fiato.
Adesso ogni giorno le farfalle e ancora la sua attesa sotto quel quadro. E ancora la mia angoscia.
Quando ci siamo conosciuti, Claudia era invaghita di musica, danzava da sola, rideva di un’allegria infantile, amava essere corteggiata. Era un po’ impudica nella sua femminilità. Ma proprio quella sfrontatezza, quella compiacenza nel mostrasi spesso nuda mi aveva conquistato.
Ci vedevamo la sera. Ci raccontavamo di noi stessi, ma soprattutto era lei a raccontare: dei suoi studi, degli amici, del suo ragazzo, della sua incapacità a resistergli quando si faceva insistente e pretendeva l’amore anche quando lei non voleva. L’ascoltavo, la confortavo, le carezzavo il viso. Spesso le asciugavo le lacrime di un pianto silenzioso. A volte mi chiedeva ridendo se provassi per lei il piacere di desiderarla o il disappunto di saperla di un altro. A volte mi provocava lasciando la porta aperta quando andava in bagno e con lo sguardo assorto faceva pipì, come se io non ci fossi, oppure con la fronte lievemente corrucciata e lo sguardo divertito, mi chiedeva se il profilo dei suoi seni fosse perfetto, se la peluria del suo pube le guastasse l’armonia del corpo. Sedici anni compiuti. Non ho mai risposto alle sue domande. Non osavo toccarla né lei m’incoraggiava. Ma sentivo che ogni giorno si andava legando a me con l’orgoglio della ragazza ammirata. Io avevo trentadue anni.
Il mio starle accanto ha esercitato su di lei una pressione garbata, soprattutto in questi ultimi tre anni di convivenza. La sua spontaneità si è trasformata lentamente in consapevolezza del suo ruolo, delle sue responsabilità. Niente risate fuori posto. Molto meno musica.
Rimane adesso in me quel senso di angoscia per le sue mail come per i suoi post-it prima, per tutto il silenzio indecifrabile che accompagna questi segnali. Mi martellano, mi ributtano indietro nel tempo in cui lei viveva nella sua libertà ed io temevo di perderla. Mi è sorto tante volte il desiderio di chiedergliene il senso, di scrutare in fondo ai suoi occhi il segreto di tanto silenzio. Ma non voglio suscitare pensieri che non ha. Forse il suo – mi dico – è solo un gioco, un gioco di luci e di colori, un gioco di sogni che si librano nella sua mente. E poi mi sorgono questi dubbi durante la sera, che è il solo momento della giornata in cui stiamo insieme. Quando facciamo l’amore, la guardo e ho paura. Quando mi parla, le sue parole mi giungono da dietro una lastra di vetro su cui scorre un velo sottile e uniforme di acqua gelida, come se in fondo al suo animo stagnasse una sensazione di solitudine, di smarrimento. Non so quello che pensa, quello che potrebbe dire e che non le ho mai lasciato dire. Forse non le ho mai lasciato fare. Non posso fermare questo suo fluire in oscuri sogni. I suoi occhi non mi guardano. Ho paura di restare solo. Sì, ho paura. Ho paura dei suoi sorrisi, del suo giacermi remissiva tra le braccia, del suo volto illuminato da una luce che ne esalta i lineamenti, come le ali delle farfalle che riempiono le sue mail e sono pronte a volare per confondere il cielo. Ho paura del suo desiderio di ritrovarsi.
Oggi – ho deciso – non aprirò la mail. Tra le dieci e mezzo e le undici, non appena me l’avrà inviata, tornerò a casa. Non la troverò sotto quel terribile quadro. Non sarò assalito dall’angoscia. La cercherò per le stanze, l’abbraccerò senza dirle nulla e lei si abbandonerà lentamente alle mie carezze. Sarà come sempre tra le mie braccia. Avrà il peso di una farfalla. Le sorriderò. Vedrò finalmente i suoi occhi guardarmi, interrogare, chiedermi ancora una volta di proteggerla. Sentirò le sue ali tra le mie dita e la penetrerò, dove la vena le attraversa diafana e azzurrina l’inguine, con una lama lunga e sottile.
Spalancherà le braccia, dischiuderà le labbra. La terrò stretta. La custodirò dentro il sigillo di vetro del mio cuore.
(Racconto pubblicato sul n° 103 della rivista La Masnada, luglio 2014)
Bello!
Come è bella questo insieme di parole. Come è bella Claudia, come sono belli questi incontri, le sue danze e le farfalle. L’angoscia ed il vuoto dei ricordi.
Complimenti!
Ho letto parecchie volte questo brano che ho trovato ben scritto, attuale e interessante.
Ho notato che in questo lavoro come anche in poesia, il poeta cita in alcuni passaggi il vetro la cui naturale trasparenza si presta piuttosto bene a rappresentare la veridicità ma anche la fragilità dei sentimenti.
L’amore è anche questo, trasparente e fragile in un mix davvero unico, come in questa storia.
Lui ama la sua imprevedibilità, lei nutre la sua autostima con la forza attrattiva che esercita sul compagno, più grande di lei.
Una volta che questo rapporto scivola nella normalità della convivenza il rapporto si spegne perché l’amore “vortice” che avvolge e nutre entrambi con pari intensità in questo caso non ha saputo o potuto maturare in modo paritetico.
Mi è piaciuto trovarvi un messaggio e ringrazio l’autore.