Il volto
Al di là dei vetri opachi si disegna
nella luce fredda di un paesaggio autunnale,
una campagna sfumata nella nebbia dei miei occhi
e i canti degli uccelli nascosti nei colori
vivi d’una stagione che s’appresta a morire.
Quando tacciono e il grigiore invernale
annega la campagna e si diffonde
fin dentro la speranza,
il volto d’una statua appare nella nebbia
dietro la svolta di un sentiero aspro.
Quel viso tante volte visto
tra le pagine dei libri che rileggo all’infinito
perché torni a capire quel suo modo di guardare
i suoni e le parole che gli sfuggono
armoniosi dalle labbra.
Accade che talvolta quel viso è del dolore
della statua che rimpiange muta e solitaria,
d’essere ancora un sasso informe
mentre sa che il tempo logora il suo sguardo
fisso senza fremiti su un punto indefinito.
Accade che quel volto appaia alla finestra
aperta su una spiaggia sotto un cielo d’oro e viola.
Ripete le parole delle pagine sfogliate
all’ombra del silenzio nel frusciare delle onde.
Hanno il suono dolce e sconosciuto di una donna
che parla dietro un velo e accoglie tra le braccia
come messaggeri d’un amore attesi a lungo
i corpi delle statue naufragati sulla spiaggia.
Freschi, marmorei, azzurri i loro corpi
teneri come sabbia profumati di salsedine
e delle trasparenti profondità marine.
Scosta il velo la donna dal suo viso
bacia le loro labbra,
respira quel respiro che le penetra nel cuore.
Leggerezza e tepore
le stringono la gola, spalle petto ventre,
la innalzano nel volo lento dei gabbiani
verso la profonda luce dell’immortalità.
Come le pagine dei libri
che le dita della donna ripetutamente sfogliano
e lasciano fuggire poi dalla finestra.
La seguono le statue verso la sublime
tenera incorruttibile musicalità stellare.
Una nota di dolore che labbra color pesca non possono lenire, un’indomabile ricerca di spazi incontaminati e sublimi.
Il moto dell’acqua restituisce quello che sta sotto, che non solo viene a galla, ma ambisce a trascendere la pochezza del nostro limite.