La memoria
Come se la mia memoria avesse l’occhio
enorme e folle di un ciclope
mi passano dinnanzi ombre dritte e mute
sopravvissute come alberi
che hanno lasciato cadere le foglie
e ora tendono verso l’alto
le braccia magre e grinzose.
Sotto un cielo di cenere si allontanano
assieme al paesaggio che fugge all’indietro
nel riquadro del finestrino all’uomo affacciato
dal treno dei miei anni. Vedo
le ombre in lunghi filari. Rimangono e passano
come lento gregge al pascolo
nel grigio soffio dell’aria.
Una si trasforma in rosa
ormai appassita da tempo
che misteriosamente ancora
m’inebria con la sua fragranza.
Una in tenue stella nella vastità del buio
scaglia il suo raggio dritto e luminoso
nell’occhio della mia memoria.
Un’altra ha la punta dolorosa di spina conficcata
nelle ali del mio cuore.
Alcune vestono parvenze umane
nei loro abiti di cerimonia o di lutto,
nei sudari di morte o di vita.
M’inondano i sensi le loro lacrime
malinconica luce per l’occhio,
o le loro risate suono melodioso per l’orecchio.
Si sommano i giorni agli anni. Immobile sul loro correre
non mi stanco del paesaggio dietro i vetri
illuminato dal sole o appannato dal gelo.
Una delle più belle immagini della memoria.
Le hai fatto indossare un abito sontuoso, caro Poeta, ricco di sfumature umbratili o fragranti, radiose o malinconiche, misteriose o melodiose.
Numinoso il rincorrersi, quasi una sfida amicale, fra l’uomo e i suoi ricordi su un treno immaginario che precede o segue, secondo le regole di Crono, le stagioni di una vita.
E “la finestra” resta tuttavia il tramite fra sogno e realtà, fra anima e mondo esterno e, facendoci sfiorare le tue memorie, ci invita a sfiorare il tuo animo.