Paternità (II)
Certe vecchiette rannicchiate nel mio petto
su macerie di ricordi e sentimenti
biascicano tra rantoli di sistole e diastole
lunghe litanie di lutti e di rimpianti.
Chiuse nel buio delle loro vesti tessono
sul telaio lunghi fili
sgranano sui rosari debolezze e pentimenti.
Portano con fatica sulle spalle il peso
del tempo e della mia memoria.
Con le labbra strette e le dita sopra i fili
come su chitarre lamentose
piangono il corpo di mia madre
scivolato con violenza nella pozza
argentea della luna.
Guardano dubbiose gli occhi di mio padre
fissare dal nulla un sole nero
che brucia fiori d’arancio mal sbocciati.
Intrecciano nel telaio eterni teli
per le nozze di donne
non ancora nate.
Anche di te, quando non eri ancora,
di te, che appena ieri guardandoti allo specchio
al disopra della mia spalla gorgogliavi
lunghi ragionamenti incomprensibili
e con gesti compiaciuti sorridevi
del tuo viso ancora a te stessa sconosciuto.
Così ho temuto, così ho sperato
che non sentissi salire dal mio petto il canto.
Così ho guardato con paura
nel profondo azzurro dei tuoi occhi,
ho allontanato lentamente le mie mani dalle tue.
Altri dei che non conosco
rigidi come statue del giudizio
hanno reciso con i loro sguardi
i fili che ci univano
come noduli al cancro dei ricordi
hanno liberata la tua voglia indomita di spazio
t’hanno donato il giusto senso della vita.
Rinchiuse nel mio petto quelle vecchie
biascicano ancora le stesse litanie
parlano ai fantasmi che si aggirano danzando
al suono lamentoso che mi gela il cuore.
Stremato m’abbandono
sotto la trama incerta di un vasto telo grigio.