Due ritorni
NOTTURNO
Nereggia
inerte serpe in mezzo alla pianura
desolata d’uomini e le rare case
e fumi che le molte fabbriche spargono nell’aria.
Inerte si dirama tra le dita
che la città distende grigie per accogliere
chi segue il cieco bisogno di tornare.
Dietro compagni in fila e altri avanti
ognuno sigillato in un involucro di vetro
e di metallo lucido ai riverberi
del sole che tramonta.
Senza pietà ciascuno si tormenta
tra le malinconie cantate dalla radio
alto il volume a cancellare l’eco
di una giornata faticosa
del ronzare persistente del motore.
Ciascuno torna a casa come toccasse terra
con il viso stravolto e il cuore gonfio
di gratitudine o d’altrettanto dolore.
Torno a indossare l’abito lasciato
pendere al gancio dell’ingresso.
MATTUTINO
Prima che l’alba spenga la luce dei fanali
e si distenda nuda sulle facciate dei palazzi,
prima che le case nel grigio delle strade
disperdano dalle bocche dei portoni i fiati
tiepidi delle madri e dei fanciulli in corsa,
prima d’andar via ho lasciato appeso
al gancio dell’ingresso l’anima e la sua maschera
come segni tangibili di un oscuro ospite
che tornerà a indossarli col buio della sera.
Ad ogni alba scoccano amari rendiconti
nella bolla di vetro con monotona voce
e la musica vibra fra le orecchie e il petto
a spargere nel sangue il veleno dei sogni.
Avanza la vita con gesti sempre uguali
lungo la strada che serpeggia in mezzo
alla campagna inerte al di là dei vetri.
Immagino il compagno che nell’auto mi precede
intuisco l’altro nell’ombra che mi segue
nello stretto riverbero puntato sui miei occhi.
L’uno e l’altro segnano i confini del pensiero
i limiti entro cui giace la mia esistenza.
Impassibile vedo al di là dei vetri
l’ingresso del recinto e l’abito lasciato
appeso a fine turno
che indosserò tra poco
che non mi appartiene. E sarò scomparso
Saper scegliere i pezzi “giusti” da mostrare
e ricomporsi in un “tutto” la sera
per non correre il rischio di diventare estranei
a se stessi a forza di smembrare
un’anima, stanca.
Vita, un andirivieni infinito,
fino all’ultimo cancello
dove il mostrarsi non conta più.
Resta da vivere il solo “dissolversi”.
Anche io parlo di abito nella mia relazione. Tu lo dici in modo poetico
L’uno e l’altro segnano i confini del pensiero
i limiti entro cui giace la mia esistenza.
Impassibile vedo al di là dei vetri
l’ingresso del recinto e l’abito lasciato
appeso a fine turno
che indosserò tra poco
che non mi appartiene.